Perché ai traumi reagiamo tutti in modo diverso? I moderni modelli lo spiegano utilizzando quattro fattori: situazionali, sociali, biologici, psicologici.
Fino a qualche decennio fa, con il termine “traumatico” si intendeva un evento in grado di produrre oggettivamente il pericolo di vita. Data questa definizione, fra gli eventi valutati traumatici vi erano gli incidenti d’auto, gli eventi naturali (per esempio i terremoti), il coinvolgimento in atti di violenza come le rapine, le intrusioni in ambito domestico e ovviamente la violenza sessuale.
Oggi la definizione di trauma è notevolmente cambiata ed è attenta non solo e non tanto all’oggettività dell’esperienza, ma soprattutto al significato soggettivo attribuitogli. Traumatico, quindi, non è più solo l’evento che mette in pericolo di vita, ma anche quello che ci pone in un’intensa condizione psicologica di mancanza di controllo, di vulnerabilità e di precarietà. Alla luce di ciò, può essere considerato traumatico un licenziamento, qualora ponga chi lo subisce nella convinzione di vedersi impossibilitato, in conseguenza di esso, a sopravvivere e a sussistere. Sono potenzialmente traumatici, per la stessa ragione, anche la perdita di una persona cara o un divorzio.
Da quanto detto fin qui si intuisce che la definizione odierna di trauma è molto più flessibile di quanto non fosse un tempo. In altre parole, oggi sappiamo che ciò che per una persona è traumatico, per un’altra può non esserlo e che una situazione o un evento possono innescare i sintomi di un Disturbo da Stress Post-Traumatico o di una Depressione in qualcuno, mentre in qualcun altro gli stessi sintomi possono essere di lieve entità o del tutto assenti.
Per questa ragione, ormai da qualche decennio i modelli lineari degli eventi traumatici sono stati sostituiti da concezioni più complesse. I moderni modelli considerano fattori non solo oggettivi, ma anche soggettivi; non solo ambientali ma anche psicologici. Tali modelli si rivelano molto più precisi nel predire, a parità di evento vissuto, se è da attendersi l’insorgenza di sintomi e in quale misura.
Se le caratteristiche oggettive di un evento stressante non sono più considerate l’unico fattore per valutare un trauma, cos’altro è da valutare? Oltre al tipo di evento stressante, che è pur sempre il primo fattore, ce ne sono altri tre:
Il tipo di evento stressante può sicuramente aiutare a predirne gli effetti. E’ banale dire che, nel caso di un incidente stradale, si avranno maggiori probabilità di sviluppare sintomi da trauma se l’incidente produce morti, feriti gravi o se è di grande dimensione (come i tamponamenti a catena che si verificano tipicamente sulle autostrade). Il tipo di evento non è un fattore sufficiente per predire gli effetti sulla vittima, ma va sempre tenuto in debita considerazione soprattutto in virtù del fatto che, notoriamente, ognuno di essi tende a generare peculiari significati psicologici. Per fare alcuni esempi: un licenziamento tende a produrre sensazioni di fallimento e di esclusione sociale; la violenza sessuale tende a generare sfiducia negli altri e sensazioni di vulnerabilità; un evento naturale catastrofico tende a generare convinzioni d’impotenza e precarietà.
Diversi eventi, quindi, possono produrre diverse conseguenze e due eventi dello stesso tipo, a loro volta, probabilmente produrranno conseguenze più o meno intense a seconda della loro gravità.
Il secondo importante fattore da considerare è la quantità disponibile di supporto psicologico e sociale. E’ dimostrato che persone con reti sociali e famigliari funzionali tendono, a parità di stress, ad assorbire meglio e più in fretta gli effetti del trauma.
Come il precedente, questo è un fattore non decisivo ma di estrema importanza. Si sa, infatti, che di per sé chi ha vissuto un evento traumatico tende a “chiudersi”. In altre parole, la tipica reazione al trauma è quella di non parlarne, di mostrarsi forti a tutti i costi (o al contrario di mostrarsi irrimediabilmente depressi) e in certi casi, addirittura, di provare vergogna per ciò che è successo, come spesso è nel caso della violenza sessuale. Data questa tendenza, è di fondamentale importanza la presenza di una rete famigliare o sociale che “contrasti” la tendenza all’autoesclusione e a comportamenti depressogeni. Nel caso in cui tale supporto sia carente o manchi del tutto, come nel caso in cui non fosse presente già in precedenza, saranno maggiori le probabilità che le reazioni ai sintomi del trauma siano di tipo disfunzionale.
Per riassumere, quindi, a parità di evento si potrà predire una migliore o peggiore reazione al trauma analizzando la quantità e la qualità delle relazioni affettive disponibili.
Il terzo fattore da considerare è il tipo di risposta prodotto dall’individuo a seguito dell’evento stressante. La variabilità individuale, in tal senso, è pressoché infinita. In altre parole ciascuno reagisce al trauma a modo proprio. Purtroppo però, alcuni modi aumentano la probabilità che si verifichi una cattiva elaborazione del trauma e quindi insorgano sintomi più intensi o tendenti a cronicizzarsi. Questo tema è esteso ed è stato affrontato in una pagina dedicata; in questa sede ci limitiamo a indicare nell’evitamento e nel rimuginio le due principali reazioni psicologiche disfunzionali.
Per evitamento si intendono tutte quelle azioni, sia fisiche sia psicologiche, attuate per sfuggire all’ansia o al dolore prodotti dal ricordo dell’evento traumatico. Esempi di evitamento sono: sforzarsi di non pensare mai all’accaduto, cercare di rimuoverlo dalla memoria, proibire a se stessi o agli altri di parlarne, evitare il luogo o luoghi simili a quello in cui è avvenuto l’evento traumatico, evitare di svolgere attività che potrebbero ricordare il trauma, ecc…
Per rimuginio, invece, si intende il ricorso al pensiero ossessivo in risposta all’ansia dovuta al trauma. Molte vittime di traumi sono convinte, infatti, di essere condannate a pensarci continuamente, oppure di non dover mai smettere di pensarci in modo da evitare il ripetersi dell’accaduto. Al pari dell’evitamento, anche questa reazione estrema tende a produrre il cronicizzarsi degli effetti del trauma.
Alcune caratteristiche biologiche e psicologiche personali sembrano favorire una peggiore elaborazione del trauma e quindi l’insorgenza di sintomi da stress più acuti. Al pari del fattore precedente, anche questo merita una trattazione a parte; per maggiori informazioni sull’argomento si consiglia quindi di consultare la pagina specifica sulla vulnerabilità di base ai traumi. In questa sede ci limiteremo a una sintesi dell’argomento, indicando fattori biologici di rischio quali la presenza di determinate caratteristiche temperamentali (tendenza all’allarme e all’attivazione fisiologica superiori alla norma), e l’età in cui la persona ha vissuto l’evento traumatico. Fra i fattori psicologici citiamo principalmente l’esposizione precedente ad altri traumi e la presenza di disturbi psicologici in atto già prima dell’evento traumatico. Fra i fattori interpersonali citiamo la presenza di legami d’attaccamento “non sicuri” nei confronti delle altre persone. Un attaccamento “non sicuro” rende più difficile l’elaborazione del trauma che, per sua natura, ha il potere di rendere insicura la persona che ne ha fatto esperienza essendo l’evento traumatico, di per sé, un’esperienza estrema di discontrollo.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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