disturbi d'ansia e ossessivi

Le fobie: come si sviluppano e dove si sbaglia nell'affrontarle

Le fobie sono paure di particolari oggetti, animali o situazioni, considerati dal diretto interessato pericolosi pur non essendolo.

fobie

Da un punto di vista funzionale, la paura è necessaria alla sopravvivenza: serve a segnalarci un pericolo e a metterci in grado di rispondere, allontanandoci oppure affrontandolo con maggiore cautela. Cosa ne sarebbe stato dei nostri lontani antenati se non avessero provato paura davanti a un predatore affamato? Che cosa ne sarebbe di noi se non provassimo nemmeno un accenno di paura nell'attraversare un incrocio trafficato?

La paura, insomma, se provata in determinate circostanze è la più normale delle emozioni. Il concetto di "fobia", invece, che spesso viene sovrapposto a quello di paura, è differente.

Innanzitutto, nella fobia il corpo e la mente reagiscono in modo più intenso. Chiunque abbia una fobia per i ragni o per i cani, in loro presenza noterà forte tachicardia, tensione muscolare, impulso a fuggire. In aggiunto, potrà provare imbarazzo e vergogna. In altre parole, i sintomi della Fobia sono più complessi di quelli della paura.

Ma ciò che meglio distingue la paura dalle fobie è che queste ultime appaiono irragionevoli e si sviluppano, tipicamente, per oggetti o situazioni non pericolosi. E, infatti, molte persone fobiche sanno bene che le loro reazioni sono sproporzionate rispetto alla situazione. La consapevolezza dell’irrazionalità delle proprie fobie, tuttavia, non sempre è sufficiente per liberarsene.

Come si sviluppa una fobia

Le fobie, di solito, iniziano a svilupparsi in tenera età, all’incirca fra i 7 e gli 11 anni, anche se ciò varia in base al tipo di fobia. Quelle nei confronti di situazioni (paura di prendere gli ascensori, di viaggiare in aereo, ecc) tendono a insorgere più tardi rispetto a quelle nei confronti degli animali repellenti (serpenti, topi, scarafaggi, ecc), a quelle nei confronti degli eventi naturali (temporali, terremoti, ecc) e alle fobie relative al sangue e al dolore fisico (sottoporsi a un intervento odontoiatrico, a un prelievo di sangue, a un’iniezione).

«Le fobie sono forme particolari di paure che hanno la caratteristica di essere eccessive o relative a situazioni, cose o eventi non oggettivamente pericolosi, ma percepiti come tali»

Moltissime fobie che si sviluppano in infanzia e prima adolescenza tendono ad andare in remissione spontanea con l’avanzare dell’età. Invece, quelle fobie che non si “risolvono” da sé entro l’adolescenza, se non trattate tendono a protrarsi in età adulta e ad avere un decorso cronico.

Per spiegare come nascono le fobie può essere utile fare l’esempio di due delle paure più tipiche, quella dei cani e di prendere gli ascensori. Sono 3 i motivi che possono scatenarle:

1 Subire un trauma. Nel nostro esempio, il tipico evento traumatico è essere morsi da un cane. In tali circostanze, il cervello stabilisce un legame condizionato fra l’evento (trovarsi a tu per tu con il cane) e le sue conseguenze (essere morso). Da quel momento in poi, evento e conseguenze saranno “legate” assieme e, la sola vista di un cane, sarà in grado di suscitare reazioni d’allarme e istinto alla fuga, in altre parole: la fobia.

Un gran numero di fobie si stabiliscono proprio così e chi ne soffre spesso sa indicare la circostanza nella quale tutto è cominciato. Va precisato, però, che non tutti gli eventi traumatici consistono in un’aggressione. Molte persone che temono i luoghi chiusi o stretti, per esempio gli ascensori, hanno sviluppato la fobia a seguito di un attacco di panico insorto proprio mentre vi si trovavano. In questo caso, il legame condizionato si sviluppa fra l’evento (trovarsi in un luogo poco spazioso) e uno stato emotivo negativo (l’attacco di panico o un forte spavento). Come nel caso precedente, il cervello collega il luogo allo spavento e “stabilisce” la fobia.

2 Osservare qualcuno che subisce un trauma. La fobia dei cani può svilupparsi anche a seguito della vista di qualcuno aggredito o morso da un cane e, in effetti, in tanti casi è proprio così. Il meccanismo attraverso cui si stabilisce la fobia è simile a quello descritto in precedenza e riguarda ancora una volta il condizionamento classico, ossia la capacità del cervello di stabilire legami condizionati fra un evento e le sue conseguenze; l’unica differenza è che in questo caso le conseguenze sono osservate su qualcun altro. Anche così, tuttavia, il cervello ha la capacità di creare il collegamento.

Nel caso della paura di prendere l’ascensore il legame condizionato potrebbe costituirsi vedendo qualcuno stare male o agitarsi mentre è all’interno della cabina. In alcuni casi le fobie possono stabilirsi addirittura “a distanza”; vedere un film in cui un attore, in modo particolarmente efficace, mette in scena un malore o un attacco di panico dentro un luogo chiuso o ristretto potrebbe essere sufficiente perché il legame condizionato si fissi.

3 Assorbire l’esempio o le convinzioni di altri. Il terzo e ultimo fattore scatenante si basa sul meccanismo di condizionamento vicario. Tutti gli organismi sociali, e quindi anche l’Uomo, hanno la capacità di imparare osservando: cioè anche senza fare esperienze dirette. Molti di noi, probabilmente, hanno imparato a non mettere le mani su un fornello rovente senza bisogno di sperimentarne le conseguenze, ma semplicemente facendo proprie le indicazioni dei genitori, che riguardo a questo e ad altri pericoli mettono in guardia con il loro esempio e gli insegnamenti.

Se un bambino, passeggiando, incontra un cane e vede che il genitore ha una reazione fobica, è probabile che a sua volta impari a reagire all’oggetto “cane” in modo fobico. Allo stesso modo, se il genitore parla dei cani come di pericoli da cui bisogna stare lontani, è probabile che il bambino “assorba” questo insegnamento.

Anche il condizionamento vicario può stabilirsi a distanza. A molti è capitato di sviluppare la paura degli spazi ristretti sentendo al telegiornale le testimonianze di persone rimaste intrappolate per giorni dentro un ascensore, senza cibo e con poca aria. E molti sviluppano la paura di volare dopo aver sentito le opinioni di altri sull’affidabilità degli aerei.

Quando diventa difficile liberarsi di una fobia

Le reazioni fobiche non sono tutte uguali: variano da individuo a individuo per durata e intensità ma, soprattutto, ogni fobia tende a produrre peculiari reazioni psicofisiologiche. Le fobie degli animali repellenti, per esempio, producono l’iperattivazione del Sistema Nervoso Simpatico. Si avranno, quindi, reazioni molto simili a quelle osservabili negli attacchi acuti d’ansia, con la pressione sanguigna che si alza e il corpo che reagisce a livello polmonare (aumento della frequenza del respiro) e muscolare (aumento del tono) per preparare l’individuo alla fuga.

Nelle fobie del dolore fisico, oppure quelle nei confronti del sangue, delle iniezioni e delle ferite, invece, si osserva qualcosa di diverso. A un iniziale aumento della frequenza cardiaca, respiratoria e della pressione sanguigna, segue un brusco calo di tutti questi parametri, che può portare allo svenimento.

Tuttavia e nonostante ciò, c’è sempre lo stesso principio dietro il cronicizzarsi delle fobie: il condizionamento operante.

I meccanismi su cui si basa il condizionamento operante sono complessi ma, nelle fobie, il più importante riguarda l’evitamento delle situazioni temute, che è anche ciò che rende difficile liberarsi delle proprie paure.

Entrare in contatto con l’oggetto della propria fobia innalza inevitabilmente l’ansia. In conseguenza a ciò, l’istinto più immediato è fuggire. Per alcuni, tale impulso è così forte da non poterlo ignorare e, quindi, lo assecondano. Allontanarsi produce un improvviso e benefico calo dell’ansia: i muscoli si distendono, il cuore rallenta, il respiro si fa più profondo e regolare, la mente ricomincia a funzionare lucidamente. Gli effetti a breve termine della fuga, quindi, sono molto positivi. Gli effetti a lungo termine purtroppo no. Perché, così come all’inizio aveva stabilito un legame fra l’evento (per esempio trovarsi vicino a un cane) e le sue conseguenze (esserne morso), il cervello stabilisce ora un legame fra il fuggire dalla situazione e il tornare tranquilli. Continuando a fuggire, il cervello “sedimenterà” questo legame fino al punto in cui l’unico modo per tranquillizzarsi sarà stare lontani dalla situazione. E così, la conseguenza a lungo termine sarà l’incapacità di affrontare l’oggetto temuto.

© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.

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