autostima & autocontrollo

Autoefficacia. La sicurezza nelle proprie capacità

L'autoefficacia è l'insieme di valutazioni che facciamo sulle nostre capacità di imparare cose nuove o risolvere compiti.

corso autoefficacia

Autostima e autoefficacia sono concetti, spesso, confusi fra loro ma in realtà non sovrapponibili. L’autostima è una valutazione del valore personale e ha basi quasi del tutto emotive. Chi ha bassa autostima si percepisce inadeguato e, di conseguenza, si aspetta di non poter avere considerazione, apprezzamento o, persino, amore. L’autoefficacia, invece, è la percezione delle abilità e delle competenze possedute; è la convinzione di quanto si è in grado di imparare o portare a termine qualcosa che ci si è prefissato.

Quindi, si può avere bassa autostima pur ritenendosi abili in una o più attività e avere alta autostima pur essendo consapevoli di non possedere particolari competenze. La ragione di ciò risiede nel fatto che l’autostima si forma da piccoli e per lo più in base al rapporto emotivo con i genitori, mentre l’autoefficacia è il risultato delle esperienze di vita e della quantità di insuccessi e successi conseguiti.

L’autoefficacia ha un’influenza immediata sulla motivazione e sul comportamento. Chi si sente efficace è più attivo e propositivo; chi, al contrario, non crede nelle proprie capacità spesso è vago nella scelta degli obiettivi, agisce in modo poco ottimizzato o sregolato e tende a distrarsi e procrastinare poiché, di base, è convinto che i risultati non arriveranno, per lo meno in tempi ragionevoli.

Albert Bandura, grande studioso dell’apprendimento sociale, più di tutti ha contribuito allo studio dell’autoefficacia. Già nel 1977 la descriveva come l’insieme di credenze personali a proposito della capacità di esercitare un controllo sugli eventi che riguardano la propria vita fino a giungere, nel 1990, a una definizione più articolata, secondo cui:

«L’autoefficacia è l’insieme di credenze relative alla propria capacità di aumentare i livelli di motivazione, di attivare risorse cognitive e di eseguire le azioni necessarie per esercitare controllo sulle richieste di un compito»

Questa definizione è precisa nel chiarire che l’autoefficacia ha un impatto sulla motivazione ad agire e perseverare, sui pensieri e sulle autoistruzioni da darsi per regolare le proprie azioni e sulle azioni stesse.

Autoefficacia ed emozioni

Fra emozioni e autoefficacia c’è un rapporto di reciproca influenza; fra di esse si instaura un circolo che può essere vizioso o virtuoso. Nel caso in cui vi siano buone aspettative d’efficacia i sentimenti più probabili saranno la fiducia, il coraggio e la tranquillità e, di conseguenza, è più facile che gli sforzi profusi siano mirati, efficaci e sostenuti e che il compito sia portato a termine con successo. Convinzioni negative d’autoefficacia, al contrario, sono correlate a stress, ansia e demotivazione. Rendendo più probabili il disimpegno, l’interruzione prematura degli sforzi e la scelta di azioni inefficaci queste emozioni avranno, come intuibile, un impatto negativo sulle già negative convinzioni d’autoefficacia.

circolo vizioso dell'autoefficacia
relazione fra autoefficacia, emozioni e risultati

Grandezza, forza e generalizzazione. Le 3 dimensioni dell’autoefficacia

Ciascuno di noi possiede aspettative d’autoefficacia specifiche in ambito lavorativo, affettivo e sociale ma anche convinzioni su di sé più globali. Pensiamo di riuscire a imparare qualcosa di nuovo qualora siamo chiamati a farlo? Continuiamo a impegnarci anche quando non vediamo subito i risultati di ciò che stiamo facendo? Ci sentiamo in grado di regolare l’ansia, lo stress, la noia e i dubbi quando dobbiamo decidere se agire in un modo anziché in un altro? Rispondere a queste domande fa emergere il nostro senso globale d’autoefficacia.

L’autoefficacia è costituita da tre dimensioni ed è sempre merito di Albert Bandura averle individuate e studiate. Esse sono la grandezza, la forza e la generalizzazione.

Il termine grandezza si riferisce alla quantità di difficoltà crescenti che ci si sente in grado di affrontare. Un conferenziere, per esempio, potrebbe sentirsi capace di parlare davanti a 30 persone ma non di farlo davanti a una platea di 300 spettatori. Potrebbe sentirsi competente abbastanza per parlare davanti a inesperti, ma non davanti a colleghi o superiori. In questo caso la sua autoefficacia ha minor grandezza di quella di chi, invece, si sente di parlare anche di fronte a una grande platea di colleghi e superiori.

Il termine forza, invece, rimanda al grado di convinzione con cui si pensa di essere efficaci; si riferisce a quanto si è fiduciosi di ottenere buoni risultati. Recuperando l’esempio precedente, un conferenziere potrebbe essere abbastanza ottimista di riuscire a parlare davanti a un grande pubblico, un altro potrebbe esserne convinto. In questo caso la grandezza dell’autoefficacia è la stessa, mentre la forza è minore nel primo e maggiore nel secondo.

Il termine generalizzazione, infine, si riferisce al grado in cui il senso d’autoefficacia in un ambito è esteso ad altri contesti. Tornando all’esempio dei due conferenzieri, entrambi possono essere convinti di saper parlare davanti a una grande platea, ma uno dei due può pensare di riuscire, all’occorrenza, anche a improvvisare un discorso a un matrimonio, mentre l’altro può non sentirsi in grado. In questo caso, grandezza e forza dell’autoefficacia sono le stesse, mentre la generalizzazione è maggiore nel primo rispetto al secondo.

Maggiore è la generalizzazione, più alta sarà l’autoefficacia globale. Quando è globale, l’autoefficacia rende fiduciosi di riuscire a portare a termine i compiti più diversi. Di conseguenza, la convinzione davanti a una nuova prova sarà “Con l’impegno, imparerò”. In caso di bassa autoefficacia globale, invece, sarà “Non l’ho mai fatto prima, non vedo come potrei cavarmela”.

Un esperimento sull’autoefficacia: come la convinzione influenza la motivazione e i risultati

Secondo Bandura le convinzioni di autoefficacia influenzano i risultati che ci aspettiamo di ottenere a seguito dei nostri sforzi; quindi, conoscendo le aspettative di autoefficacia si possono prevedere i risultati verso i quali ci muoveremo. Questa teoria è stata dimostrata da tre ricercatori, Whyte, Saks e Hook alla fine degli anni 90 del Novecento con un classico esperimento che aveva, proprio, lo scopo di studiare il collegamento fra autoefficacia e risultati. In particolare, i tre ricercatori si proposero di verificare l’ipotesi secondo cui coloro che hanno maggiore autoefficacia sono anche i più perseveranti di fronte a insuccessi od ostacoli e, quindi, quelli che ottengono i migliori risultati.

Whyte, Saks e Hook reclutarono un certo numero di soggetti con età media di 24 anni e con almeno 2 anni di esperienza lavorativa alle spalle, che distribuirono a caso in 3 gruppi. Ai partecipanti fu chiesto di esaminare e risolvere compiti che richiedevano di prendere decisioni ma le informazioni che diedero ai partecipanti furono molto differenti. Al primo gruppo sottoposero i compiti senza fornire alcuna indicazione; al secondo sottoposero i compiti convincendo i partecipanti di essere in possesso delle abilità per risolverli; al terzo sottoposero i compiti inducendo la convinzione di non possedere le abilità per risolverli.

Alla conclusione dell’esperimento emerse che i componenti del secondo gruppo si erano prodigati in maggiori sforzi nella risoluzione dei problemi e avevano, in definitiva, trovato buone soluzioni, mentre quelli del terzo gruppo si erano mostrati demotivati e incapaci di produrre un problem-solving efficace. Studi come questo dimostrano che la qualità del risultato delle nostre azioni è soprattutto una conseguenza della motivazione ad agire la quale, a sua volta, dipende dalle convinzioni di efficacia.

© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.

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