La paura dell’abbandono, se presente in una relazione, porta a sentirsi sempre in allarme per l’eventualità che la storia possa finire e a mettere in atto reazioni spesso controproducenti.
Il senso d’abbandono è da considerare una reazione naturale alla perdita di un legame affettivo importante: può riguardare una relazione famigliare ma anche una d’amicizia oppure sentimentale, come accade nelle storie d’amore. Questo sentimento è congenito all’essere umano e ha precise funzioni, di cui abbiamo parlato in una pagina dedicata. Nella stessa pagina, inoltre, abbiamo descritto i tre principali fattori che concorrono a sviluppare la paura dell’abbandono nelle relazioni sentimentali, cioè a sentirsi abbandonati anche quando non lo si è. Di seguito riprenderemo l’argomento più in dettaglio, descrivendo come capire se siamo fiduciosi e sicuri nei confronti del nostro partner oppure se, al contrario, viviamo la relazione con ansia. Inoltre, analizzeremo le conseguenze più comuni della paura dell’abbandono: in specifico vedremo a quali azioni può portare e alle relative conseguenze.
L’ansia, o paura dell’abbandono, come tutti i sentimenti si presenta da persona a persona con diversa frequenza e intensità. Chiunque ne soffra sa che essa si “innesca” a seguito di determinate situazioni (per esempio, una telefonata promessa dal partner ma che tarda ad arrivare) o quando viene in mente un pensiero particolarmente negativo (per esempio: “Cosa farei se questa storia finisse?”). Le persone che sperimentano spesso questi sentimenti vivono nella convinzione di perdere il proprio partner. Anche in assenza di prove, sentono che la persona amata prima o poi le lascerà. Il fatto che si aspettino tale esito le porta ad essere continuamente allerta e alla ricerca di prove che la loro convinzione è corretta.
L’ansia dell’abbandono è così definita perché, appunto, si esprime con stati di forte ansia. Ma è possibile che la percezione della perdita si manifesti anche in altro modo, per esempio con la tristezza, il senso di vuoto, la rabbia o l’ira.
Nelle forme estreme si teme anche solo il momentaneo distacco dalla persona cara. Questo, probabilmente, è dovuto a un deficit di “costanza dell’oggetto”, che è la capacità (inconscia) di considerare l’oggetto del proprio attaccamento stabile e sicuro anche in sua assenza. La costanza dell’oggetto è un’abilità che si sviluppa già in infanzia e, in parte, sembra essere correlata al temperamento: i bambini più ansiosi difficilmente riescono a svilupparla appieno perché vivono più di frequente stati di allerta e di minaccia. Oltre il temperamento, però, bisogna tener presente che ha grande influenza anche la qualità dell’accudimento fornito dalle figure di riferimento. Un accudimento altalenante, poco sicuro o improntato all’aggressività o all’ansia fornisce al bambino un modello di relazione in cui gli altri non sono presenti in modo affidabile o non forniscono le cure necessarie (protezione, affetto, guida). Di conseguenza, da adulti si può avere difficoltà nel ritenere stabile la relazione con il partner.
Il modello di relazione sviluppatosi in infanzia, positivo o negativo che sia, tende a preservarsi attraverso particolari meccanismi: innanzitutto, influenzando i “gusti” personali. Generalmente, coloro che sono convinti dell’instabilità delle relazioni finiscono per stabilire legami proprio con persone instabili, emotivamente inaffidabili o incapaci di impegnarsi in un rapporto durevole. Al contrario, non sembrano altrettanto attratte da chi mostra stabilità e capacità d’impegno. Pur sapendo che questo secondo tipo di partner consentirebbe loro di rischiare meno l’abbandono, sembrano spinte verso individui della prima tipologia forse riconoscendoli, inconsapevolmente, più coincidenti alla loro idea di figura di riferimento.
La scelta di persone poco accessibili o inaffidabili finisce, in un circolo vizioso, per tenere viva la percezione d’instabilità delle relazioni e, quindi, la paura dell’abbandono.
Altri fattori, oltre alla scelta di partner poco affidabili, mantengono viva la paura dell’abbandono. In particolare tre strategie disfunzionali che, spesso, vengono adottate nelle relazioni. Si tratta dei comportamenti di evitamento, d’ipercompensazione e di resa.
Un esempio di comportamento d’evitamento è decidere di non legarsi sentimentalmente. Molte persone con ansia d’abbandono, in effetti, tendono a condurre una vita in solitudine. Altri esempi sono: mostrarsi indifferenti verso il partner, poco attaccati o poco affettuosi. Questi sono tutti evitamenti perché sono mirati a evitare di sentire l’ansia dell’abbandono (“Se non mi lego, non soffrirò quando la storia finirà”) ma tendono a rinforzarla, mantenendo viva la convinzione che le relazioni siano qualcosa che prima o poi produce un dolore insopportabile. Gestire la relazione con distacco, inoltre, tende a deprivare emotivamente il partner che, sentendosi non amato, potrebbe decidere a sua volta di distaccarsi.
Un esempio di comportamento d’ipercompensazione è controllare gli spostamenti del partner per accertarsi che non stia facendo niente di dannoso o scorretto. Chi utilizza l’ipercompensazione può mostrarsi estremamente possessivo, per esempio aggredendo chiunque possa minacciare la relazione. Lo scopo è impedire l’insorgere della paura dell’abbandono o l’abbandono vero e proprio (“Se controllo il mio partner, non potrà fare niente di male”) ma anche questi comportamenti finiscono per mantenere viva la sensazione che, prima o poi, qualcosa di brutto succederà e quindi sia necessario restare sempre vigili. Inoltre, anche in questo caso è possibile che il partner decida davvero di porre fine alla relazione, sentendosi ipercontrollato e non creduto.
Un esempio di comportamento di resa è la “scenata” di gelosia. Si definiscono comportamenti di resa tutti quelli che presuppongono, appunto, la resa nei confronti della sensazione d’abbandono: ci si comporta da abbandonati allo scopo di convincere l’altro a far cessare l’abbandono, vero o presunto che sia. Lo scopo è, come in precedenza, fare di tutto per non sentirsi abbandonati (“Se gli mostro come mi fa sentire ciò che fa, smetterà di farlo e porrà rimedio”). Anche i comportamenti di resa, però, tendono a produrre esiti negativi a lungo termine: 1) perché per il partner, alla lunga, potrebbe essere difficile capirli e contenerli e 2) perché l’ansia d’abbandono tenderà a rimanere stabile, essendo azioni che confermano l’idea che l’altro sia sempre in procinto di abbandonare.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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