Dipendere significa non saper fare a meno di qualcosa quando se ne sente il bisogno. In questa pagina scoprirai i tratti caratteristici della ludopatia, ciò che la rende unica nel suo genere e, perciò, insidiosa.
Una studentessa, nel bel mezzo dell’ultimo ripasso prima di un esame universitario, ha un attacco di fame nervosa. Sa che dovrebbe trattenersi, così cerca di scacciare il pensiero concentrandosi sui libri. Ma è più forte di lei: dieci minuti dopo è in cucina a divorare tutto ciò che le capita sottomano.
Un musicista, in attesa di esibirsi a un concerto, immagina la figuraccia di fronte alla platea come un’eventualità inevitabile. A mala pena si accorge della presenza dei colleghi d’orchestra: sono solo ombre attorno a lui. Non fa che pensare al tranquillante che ha in tasca e al momento in cui l’agitazione si dissolverà.
Un impiegato, seduto alla scrivania di fronte al monitor del computer, fissa imbambolato il cursore lampeggiante all’inizio di una pagina bianca. Dovrebbe consegnare la relazione entro sera ma non ha scritto nemmeno una riga: non riesce a fare a meno di sbirciare l’app di finanza per seguire i suoi ultimi investimenti.
Cosa accomuna queste tre persone?
Dipendere significa non riuscire a fare a meno di qualcosa nel momento in cui se ne sente il bisogno.
Anche nel linguaggio comune, questo verbo indica comportamenti ripetitivi, attuati per placare un’impellenza. Conosci qualcuno che non sa stare solo e saltella di partner in partner? O che, decine di volta all’ora, controlla le notifiche dei social? In un certo senso, anche queste sono dipendenze.
Ma sono quelle da alcol e da sostanze le peggiori. Innumerevoli decessi per patologie tumorali e cardiovascolari sono attribuibili al bere eccessivo o alle droghe, senza contare quelli sulla strada: in Italia perdono la vita circa tremila persone ogni anno in incidenti automobilistici, spesso a causa della guida in stato alterato.
E la ludopatia? La spesa degli italiani per il gioco d’azzardo non fa che aumentare superando, ormai, la cifra da capogiro di cento miliardi di euro annui. Stando ai numeri, il gioco d’azzardo rappresenta la terza “industria” nazionale per fatturato.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Conoscerai di certo qualcuno indebitato fino al collo per via delle scommesse, del casinò online, delle carte.
Giochi d’azzardo ogni volta che scommetti una somma di denaro nella speranza di vincerne una maggiore. Così, è gioco d’azzardo acquistare un biglietto della lotteria, lo è scommettere sulla vittoria di una squadra di calcio o sull’uscita di numeri al lotto. In senso lato, è gioco d’azzardo l’acquisto d’azioni in borsa e di ogni altro bene materiale o immateriale nella speranza di rivenderlo incassando una plusvalenza.
Anche tu, probabilmente, qualche volta hai giocato. Magari per divertirti con gli amici, o, chissà, per tentare la sorte e sistemarti. Proprio come la maggior parte delle persone, che lo fanno in modo occasionale: si danno un limite di spesa e lo rispettano, non lo rendono il centro della loro vita. Giocare, così, resta un passatempo e non diventa malattia.
Coloro che non si sanno moderare, invece, diventano compulsivi.
Chi dipende dal gioco vi impiega, per definizione, tanto tempo. Per stabilire la gravità di tale comportamento, tuttavia, quello della frequenza potrebbe non essere un parametro affidabile: acquistare tre volte alla settimana un Gratta & Vinci può non essere indice di dipendenza, recarsi al casinò con la stessa assiduità, sì. E nemmeno l’ammontare della somma spesa, da sola, è indicativa.
Allora, come riconoscere un giocatore patologico?
I giocatori patologici diventano irritabili e scontrosi se cercano di ridurre il gioco o di smettere e, di solito, non ci riescono a lungo: restano astinenti per qualche giorno o settimana e poi, magari ripartendo da piccole somme, ci ricascano.
I giocatori patologici passano buona parte del loro tempo a rimuginare sulle sconfitte e su come ottenere soldi per giocare. Frequentano sempre gli stessi luoghi e, se vi hanno perso denaro, vi tornano nella speranza di recuperarlo, finendo per spendere cifre che non possono permettersi e pieni di debiti. Allora chiedono prestiti a conoscenti, accampando giustificazioni di ogni sorta, o a società finanziarie, accettando interessi elevatissimi.
Tanti ludopatici spendono nel gioco quantità di tempo proporzionate all’umore del momento. Stress relazionali o lavorativi possono motivarli a cimentarvisi con maggiore assiduità. Si sa, infatti, che per loro il gioco ha un effetto lenitivo sulla tensione, sull’ansia, sul cattivo umore, sulle preoccupazioni, li fa “evadere” da condizioni indesiderabili. In realtà, il beneficio è temporaneo: le perdite non fanno altro che ingigantire la già imponente montagna dei loro problemi.
Alla fine si tradiscono: quando non possono più nascondere la reale entità del coinvolgimento nel gioco, il clima in casa peggiora e la famiglia finisce per disgregarsi. Dunque, da personale ed economico, il gioco si trasforma in un guaio famigliare e sistemico.
Nell’immaginario collettivo è duro a morire lo stereotipo del ludopatico maschio, di mezza età, ai margini, forse perfino frequentatore di ambienti poco raccomandabili.
Falso. I giocatori d’azzardo, oggi, sono sia maschi sia femmine, di ogni età ed estrazione sociale. Ludopatico può essere il ragazzo che gioca online, dal cellulare, sottraendo la carta di credito ai genitori, l’anziana che dilapida la pensione nei Gratta & Vinci, l’impiegato che si “rilassa”, ogni sera, ai tavoli da poker di un circolo privato.
Si diventa ludopatici in vari modi, per esempio scivolandovi dopo una vita di gioco occasionale. Di solito, però, il problema inizia da giovani: la maggior parte dei ludopatici riferisce un’età compresa fra i 15 e i 30 anni. I genitori o i nonni di molti di loro erano o sono giocatori abituali, oppure è il fratello maggiore ad averli “introdotti”. Altri hanno “imparato” circondandosi di compagnie con questo vizio.
Secondo il Dipartimento delle Politiche Antidroga, in Italia potrebbero esservi da trecentomila a un milione e trecentomila giocatori patologici, una stima incerta dovuta alla tendenza dei ludopatici a negare il problema e alla loro riluttanza a chiedere aiuto.
Ma, anche se drammatici, questi dati non dovrebbero stupire, viste le politiche di liberalizzazione intraprese fin dall’inizio degli anni 2000. Nel nostro Paese, oggi, si conta una slot-machine ogni 150 abitanti circa. Basta passeggiare in città per notare la proliferazione di sale VLT e di ricevitorie di scommesse sportive, punteggiate da vetrine di tabaccherie stipate di biglietti della lotteria.
La ludopatia è una dipendenza assimilabile alle altre perché ne condivide le medesime fondamentali caratteristiche.
I ludopatici si “assuefanno” al gioco, abituandosi a impiegare somme crescenti di denaro. Quando cercano di limitarlo o interromperlo, poi, manifestano i sintomi dell’astinenza: sono tesi, nervosi, non pensano che a tornare a giocare, come il bevitore sogna la bottiglia e il tossicodipendente la dose. Come quest’ultimi, arrivano a trascurare la famiglia, le relazioni, il lavoro e, spesso, a perdere tutto.
Il ludopatico nega di aver perso il controllo perfino quando gli si portano prove inconfutabili: i conti sono in rosso e i debiti tanto grandi da essere difficili da saldare. Come l’alcolista e il tossicodipendente minimizza e racconta bugie, a sé e agli altri. Le sue giustificazioni sono: “non gioco così tanto” e “potrei stare senza giocare”. Proprio come l’alcolista direbbe “non bevo poi tanto” e “potrei smettere, se volessi”.
Nonostante ciò, la ludopatia è una dipendenza particolare, per due motivi.
non c’è sostanza La dipendenza da gioco d’azzardo non presuppone l’effetto dell’assunzione di sostanze. Certo, davanti a una slot o al maxischermo dei risultati sportivi il cervello di un giocatore rilascia adrenalina, cortisolo, endorfine. A tale piacere “chimico” ci si può legare tanto da desiderare di sentirlo ancora e ancora. Ma questi fisiologici effetti sono trascurabili rispetto a quelli indotti da alcol e droghe.
Il primo, per esempio, è un sedativo simile ai barbiturici e alle benzodiazepine e agisce per mezzo dell’inibizione dell’attività sinaptica fra i neuroni. L’eroina, invece, ha un effetto analgesico: superata la barriera ematoencefalica del cervello blocca il rilascio presinaptico dei neurotrasmettitori, inibendo i nocicettori periferici.
Nella dipendenza da alcol e sostanze, quindi, l’assunzione diventa ben presto un bisogno fisico ancor prima che mentale. Nella ludopatia, invece, tale rapporto è rovesciato.
non c’è certezza Il consumatore abituale di sostanze o alcol conosce alla perfezione gli effetti di ciò che assume. L’eroina, per esempio, all’inizio produce piacere e distensione muscolare, poi confusione mentale, nausea e, talora, vomito. In seguito una marcata alterazione della percezione del tempo e, infine, l’effetto anestetico in senso stretto.
Il giocatore d’azzardo patologico conosce l’eccitamento dell’attesa, la soddisfazione e il piacere della vittoria, la rabbia e il senso di colpa dopo una sconfitta, ma non ha vere garanzie. Quale sorte lo attende? Una delusione cocente o il paradiso? L’inferno di ulteriori debiti o il sollievo di poterne ripianare un po’? Non ha la possibilità di prevedere l’esito delle sue azioni, il suo è sempre un salto nel buio. Che stia proprio in questo la vera forza attrattiva del gioco d’azzardo?
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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